L’atto di battesimo di Antonio Stradivari non è stato fino ad oggi rinvenuto nelle fonti di archivio, tuttavia si presume che egli sia nato a Cremona nel 1644, sulla base di successive attestazioni della sua età, seppur altre teorie propongano il 1649 come suo anno di nascita. In un cartiglio originale del 1666 apposto in quello che si pensa essere il suo primo strumento, Stradivari affermava di essere allievo di Nicolò Amati, ma la sua presenza nel laboratorio di questi non è stata comprovata e risulta difficile comprendere il motivo per cui questa etichetta sia stata utilizzata una sola volta. In ogni caso, in base al suo orizzonte familiare e delle più strette conoscenze, si può ipotizzare che Stradivari avesse ricevuto una formazione da intagliatore e decoratore, un lavoratore del legno altamente specializzato, quindi, e che fu in rapporti stretti anche con la famiglia Rugeri.
La sua produzione autonoma di strumenti iniziò nella seconda metà degli anni sessanta, e continuò in seguito per una carriera eccezionalmente lunga e durata oltre settanta anni. Dopo i primi lavori basati su forme assai esili e talvolta realizzati con materiali poveri, negli anni ottanta del Seicento Stradivari si avvicinò molto allo stile dei violini Grand Pattern degli Amati, e completò una serie di preziosi strumenti decorati in maniera virtuosistica che gli procurarono ben presto una fama estesa a tutta l'Europa e ordini da numerosi committenti nobiliari. Il liutaio fu anche un grande sperimentatore di formati e stili sempre diversi. Durante l’ultimo decennio del Seicento, Stradivari introdusse un nuovo modello oggi noto come Long Pattern, probabilmente ispirato ai violini di grandi dimensioni di Giovanni Paolo Maggini, mentre a partire dal 1700 Stradivari pervenne al canone di proporzioni che continuò a utilizzare per gran parte degli strumenti successivi e che sarà considerato ideale da numerosi liutai che ripresero i suoi modelli. Anche da un punto di vista acustico, il periodo posteriore al 1700 segna l’introduzione di bombature più basse e piatte, in seguito molto apprezzate per il suono più pieno che impartivano allo strumento.
Stradivari ebbe un ruolo fondamentale nello sviluppo della forma del violoncello moderno; dopo i primi bassi di grandi dimensioni, il liutaio ridusse progressivamente il formato dello strumento, fino ad introdurre nel primo decennio del Settecento la forma considerata da molti come ideale, seppur Stradivari stesso in realtà continuò a sperimentare con proporzioni diverse e ancor più compatte durante la parte conclusiva della sua carriera. Più ridotto invece fu il suo interesse per le viole, di cui realizzò poco più di dieci esemplari, per la maggior parte contralti ma anche qualche rara viola tenore. Innumerevoli invece gli altri tipi di strumenti costruiti nel suo laboratorio: viole d’amore e da gamba, pochettes e, nel campo degli strumenti a pizzico, arpe, numerose chitarre, mandolini e liuti di diversi formati; venivano inoltre costruiti archetti e custodie. Il laboratorio Stradivari dovette avere un’organizzazione assai efficiente, con i figli Francesco, Omobono e, per un periodo più breve, Giovanni Battista Martino, costantemente al lavoro accanto al padre; si ritiene che gli strumenti realizzati superarono il migliaio, di cui se ne conservano ancora ben oltre la metà. Nonostante i tanti liutai che si professarono suoi allievi, Stradivari si mostrò molto riluttante ad ammettere apprendisti al di fuori della cerchia familiare. Si può anzi ritenere che l’unico collaboratore esterno accertato sia stato il cremonese Carlo Bergonzi, la cui mano si riconosce in alcuni strumenti degli anni ’20 e ’30 del Settecento, e che venne poi chiamato a continuare l’attività del maestro nel 1745 dopo la morte dei suoi figli.
Nonostante la scarsità di allievi diretti, il lavoro di Stradivari ebbe un'enorme influenza su tutta la liuteria successiva, non solo in Italia ma nell’intera Europa. I materiali del suo laboratorio costituiscono, in ambito italiano, i soli reperti di questo tipo conservatisi, grazie all'interessamento del collezionista piemontese Cozio di Salabue che li acquistò dagli eredi Stradivari. In seguito i reperti vennero acquisiti dal liutaio bolognese Giuseppe Fiorini che ne fece dono alla città di Cremona. Grazie a tale lascito essi formano tuttora la base del bagaglio tecnico di molti liutai contemporanei, in seguito anche al riordino effettuato negli anni ’60 del Novecento da Simone Fernando Sacconi e all pubblicazione del suo testo “I segreti di Stradivari”.